Sbagliando, si educa!

 

“È la cosa più difficile di questo mondo…come fare..sarò capace…” queste le domande più frequenti dei neogenitori o di chi si accinge alla genitorialità.

Essere “buoni” genitori e aiutare i propri figli a diventare adulti è “la cosa più complicata del mondo”, ecco la frase che ogni genitore pronuncia almeno una volta (e forse anche più)  nella vita.

In effetti è un compito tanto entusiasmante quanto faticoso, per il quale, sappiamo bene tutti, non possono esistere modelli precostituiti o manuali con le istruzioni del prototipo del “buon genitore”,  poiché sono proprio i nostri figli, con la loro imprevedibile individualità ed unicità,  ad essere i nostri veri “insegnanti” di vita. Nasciamo come genitori nel momento in cui entrano a far parte nella nostra esistenza!

Sentiamo parlare spesso,   in svariati contesti e persino nei talk show, di educazione dei più piccoli: bambini e adolescenti.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: come si “educa bene” e come educarsi a una genitorialità consapevole?

Educare alla genitorialità significa impegnarsi ad aiutare i genitori a crescere come persone, a scoprire risorse  e limiti, a valorizzare ciò che  di positivo si fa nell’educare i figli,  senza escludere la possibilità di commettere errori e sforzandosi di imparare da essi.

È  vero: è proprio difficile essere e fare i genitori oggi, ma è addirittura impossibile un genitore impeccabile!

Da un punto di vista razionale accettiamo i limiti imposti dalla genitorialità, ma ad un livello emozionale ci sentiamo inadeguati come genitori se non ci percepiamo all’altezza delle  nostre aspettative o degli ideali  imposti dalla società, incrementando così  il timore di sbagliare o rendendo il rapporto con i figli meno spontaneo e genuino.

Fortunatamente per i bambini, non esistono genitori impeccabili o che rasentano la perfezione!

Dico per fortuna perchè  sarebbe durissimo, per i figli,  il confronto con un genitore sempre perfetto. La questione non è essere genitori modello, ma punto di riferimento in grado di rimediare ai propri errori.

Non è affatto necessario che i figli vivano sempre e comunque esperienze considerate ideali con  genitori che celano gli errori a tutti i costi, magari perché mossi  dall’idea di proteggere i bambini.

L’essenziale è che i più piccoli abbiano l’occasione di fare l’esperienza che tutti siamo persone con possibilità di sbagliare e che, nonostante tutto, riusciamo a “imparare” dai nostri errori, provando a costruire un tessuto relazionale, anche a partire da tutto questo. Quindi gli errori che si possono compiere sono svariati, l’essenziale è saperci “tornare sopra” e affrontarli.

Solo per fare un esempio, un tema molto sentito dai genitori è quello delle “litigate” tra mamma e papà.

Siamo consapevoli che non sempre il rapporto di coppia  è idilliaco; succede di avere delle piccole e impegnative discussioni relative la quotidianità familiare e, spesso, si lascia veicolare il messaggio che non si deve mai  “litigare” in presenza dei bambini per non  correre il rischio di destabilizzarli, anche se si discute per la difesa delle proprie ragioni.

Invece, riflettendoci,  può succedere di discutere anche di fronte ai bambini e che possano osservare posizioni diverse che ciascun genitore cerca di difendere perché le reputa importanti. Per questa ragione, un utile supporto alla crescita è che  i figli abbiano occasione di osservare anche il “dopo”, il “come si fa”  a “ricomporre” un diverbio attraverso il “parlare insieme”(per esempio si può dire: “io ci tenevo a dirti cosa pensavo, desideravo che tu conoscessi il mio punto di vista!).

È educativo per i bambini sperimentare cosa possiamo fare a partire dai nostri errori, non negandoli o escludendoli, perchè significherebbe dire ai genitori di fare lo sforzo di essere sempre perfetti, non semplificando la vita familiare .

Forse è il momento di un cambio di prospettiva svincolata dall’utopia del genitore competente. E allora, come procedere per uscire da quelle aspettative  di irreprensibilità,  rispetto al ruolo genitoriale, che  potrebbero generare fraintendimenti sull’educazione?

Dovremmo metterci in gioco, cercare azioni di intervento concreto e strumenti operativi che ci permettano di agire, vivendo l’esperienza. La prospettiva pedagogica predilige un’attività di COEDUCAZIONE: si lavora insieme per costruire una relazione di fiducia che consenta a genitori ed educatori di affrontare, in collaborazione, il percorso di crescita del bambino. Diversi sono i protagonisti coinvolti in questo processo educativo, perché educare è un atto  reciprocità. Educare è costruire insieme!

Maria Montessori ha detto che il punto di partenza del processo educativo è l’attività autonoma del bambino.
Non si tratta di un mondo sprovvisto di regole, ma della capacità dell’adulto di predisporre un ambiente educativo stimolante a misura di bambino, in grado di favorire la libertà di espressione infantile nonchè di rispettare i graduali e naturali tempi di crescita oltre che di apprendimento, attraverso individualizzate strategie pedagogiche e didattiche .

“Aiutami a fare da solo”, celeberrima frase di Montessori, palesa la naturale curiosità interiore del bambino e la  necessità di un ruolo di facilitatore-osservatore assunto dall’adulto che, con  fiducia, si approccia al mondo dei più giovani potenziandone l’autostima.
Questo potrebbe configurarsi come fine pedagogico auspicabile, proprio perché pone il bambino nelle condizioni di potersi esprimere e lavorare in autonomia, senza che l’adulto possa “cedere alla tentazione” di sostituirsi a lui, anticipandolo o dispensandolo anche da consuete e “semplici” attività quotidiane: ritagliare la carta, abbottonarsi la giacca, allacciarsi le scarpe, mangiare da solo, manipolare la pasta, disegnare e colorare.

Queste ultime si configurano come esperienze di crescita capaci di donare ai bambini la grande occasione di esercitare la manualità fin dalla prima infanzia e di vivere situazioni propedeutiche ai fini dell’apprendimento di altre abilità, per esempio quelle connesse alla letto-scrittura.

Spinti dal naturale e legittimo senso di protezione verso i più piccoli, quante volte, sentiamo pronunciare proprio dagli adulti di riferimento, le seguenti parole: è ancora troppo piccolo per fare da solo!

In qualità di genitori, educatori e insegnanti dovremmo sottoporci a costante riflessione educativa e maturare la consapevolezza che la “privazione” di determinate esperienze, anche se motivate dalla presunta immaturità del bambino, potrebbero fungere da marcatore di differenze oltre che indurre i più piccoli a percepirsi inadeguati di fronte a certe attività, con probabili ripercussioni sul piano motivazionale, della socializzazione e dell’autoefficacia. In realtà, i più piccoli ci chiedono fiducia ed è come se volessero comunicarci un messaggio differente da quello che noi pensiamo per loro: “Non dirmi di non fare ” fammi fare in modo diverso!

In poche parole potremmo asserire:

“Aiutami a fare da solo!” che equivale a dire: “Aiutami ad esplorare, a ragionare con capacità critica e a conoscere il mondo a modo mio”.